Il principe delle Tenebre-La via per la libertà

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Il principe delle Tenebre-La via per la libertà

Messaggiodi Angelo Amnell » 05/11/2011, 13:59

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Capitolo 1
L’inizio o la fine?
L’odore della pioggia impregnava l’aria. Sottili e fragili gocce di pioggia sfioravano ogni cosa, persone, case, alberi, tutto. Pioveva a dirotto già da un po’ di tempo: le nuvole e gli acquazzoni avevano fatto compagnia al sorgere dell’alba, continuando fino all’ora di pranzo. Poi il pomeriggio tutto era ricominciato: pioggia, freddo e vento si erano abbattuti su tutta la città, senza tregua.
Una tipica giornata di inizio inverno, pensavano tutti, eppure c’era qualcosa di strano.
Alessandro camminava in strada, completamente inzuppato e infreddolito, ma non gli importava molto.
Ormai non gli importava di niente, neanche di se stesso.
Aveva perso tutto quello che aveva, tutto quello per cui viveva.
Aveva fallito come cacciatore di demoni, anche se non tutti gli altri cacciatori la vedevano sotto questo punto di vista: I demoni erano stati parzialmente sconfitti, questo e L’altro Mondo adesso erano al sicuro, ma le creature della notte vivevano ancora liberi, deboli ma in libertà e un giorno sarebbero riusciti a tornare. Ma non era questo ad averlo sconfitto: aveva fallito la missione. Tutti gli altri membri del suo gruppo, senza contare tutti gli innocenti e gli altri cacciatori, erano morti, sacrificati “per il bene superiore” e lui non era riuscito a fare niente per salvarli. Invece avrebbe potuto fare qualcosa, ne era sicuro…
Aveva perso anche la sua famiglia: i suoi genitori, le sue due sorelle, i suoi nonni, giustiziati dai demoni con la sola colpa di essere imparentati con uno sterminatore di demoni. Julia, la sua fidanzata, aveva dato la vita per salvarlo da tre demoni che stavano per ucciderlo. Ora, della sua famiglia non restavano neanche le ossa, neanche le loro ceneri. Niente.
E lui perché continuava a vivere? Sarebbe stato più facile e indolore morire.
I demoni dovevano uccidere lui e non le persone che gli erano più care, li odiava ma ormai odiava qualsiasi cosa, anche i suoi occhi, profondi come due pozzi neri, che la mattina lo fissavano tristi e pieni di rimorso allo specchio. Lui odiava se stesso, e il mondo pieno di dolore e violenza.
La sua vita era inutile ormai, ma il destino aveva deciso diversamente. Per metterlo ancora alla prova e causarli ancora più dolore? Sì, di questo ne era sicuro ma si chiedeva che cosa potesse succedergli ancora, di peggio.
Alessandro si fermo accanto ad un cartellone pubblicitario che sponsorizzava una ditta di giocattoli per bambini. Bambini… lui e Julia avevano pensato a come avrebbe potuto essere la loro vita con dei bambini, ma era presto per decidere di averne uno: a venticinque anni era ancora presto e poi con la vita che conducevano… ma ormai era troppo tardi anche per quello.
La via dei negozi era molto illuminata quella sera: tutti i lampioni brillavano e nei negozi risplendevano i primi addobbi natalizi, anche se mancava quasi un mese a Natale.
Già, il natale… chissà cosa avrebbe fatto lui, per Natale! Sicuramente sarebbe rimasto a casa a piangersi addosso, ricordando i bei momenti felici del passato, stando seduto nella poltrona blu oltremare che aveva comprato Julia qualche mese prima, magari bevendo qualche bottiglia di birra. Per lui, il Natale non aveva più senso.
Alcuni ragazzini si rincorrevano nel parco. Sul volto avevano impressa un’espressione felice e spensierata, sinonimo di una vita felice. Ah, com’era bella l’età infantile, con i suoi giochi, lamenti per il troppo, in realtà poco, studio e tanto voglia di giocare e di vivere.
Alessandro li fissò per qualche istante, lasciandosi scappare un sorriso triste e pieno di malinconia, poi riprese a camminare e passò oltre.
Decise di tornare a casa, si era stancato di camminare, e poi la pioggia si faceva più insistente, quasi a volerlo colpire con la sua violenza, cercando fargli capire che anche lei gli era contro, che non vi era più niente di buono per lui. Ma questo lo sapeva già senza bisogno che qualcuno o qualcosa glielo ricordasse.
Ci pensava da solo a ricordarselo, ogni mattina quando si alzava, mentre entrava nel box della doccia e apriva l’acqua bollente, che per lui era profondamente ghiacciata, mentre faceva colazione al bar sotto casa, solo e infinitamente triste, ormai anche mangiare era diventato qualcosa di faticoso. Mentre girava la città alla ricerca di un’occupazione che tenesse i propri pensieri lontani e irraggiungibili, ma questo era impossibile.
Ci pensava anche la notte, quando cercava di prendere sonno senza riuscirvi, dilaniato dal dolore. Ci pensava nei suoi incubo che venivano a tormentarlo ogni singola notte, in cui vi apparivano tutte le persone che conosceva, ormai defunte uccise dai demoni nella battaglia che avrebbe dovuto dare loro pace e tranquillità.
Ci pensava sempre, in ogni singolo istante della sua stramaledetta vita di merda.
Solo la morte poteva dargli pace.
Imboccò la via che attraversava il parco e finiva proprio sotto casa.
Quella sera la parte est del grande parco che attraversava mezza città era deserta e profondamente cupa. La pioggia era penetrata attraverso i folti alberi, giungendo anche in quel luogo tetro.
Alessandro si affrettò a proseguire. Ogni volta che si ritrovava in quel luogo la sua mente subiva un salto nel passato, immergendosi tra i ricordi della sua infanzia.
Ricordava che, fin da quando si erano trasferiti dall’Italia, ogni volta che potevano lui e le sue sorelle venivano qui a giocare con gli altri bambini. In estate giocavano con i gavettoni che creavano nella grossa fontana di marmo bianco, sormontata da una statua raffigurante due angeli che danzavano, nelle cui acque a volte nuotavano anche delle oche e altri uccelli d’acqua. La sera tornavano completamente bagnati e loro madre li rimproverava sonoramente, ma di rado riusciva a recitare bene la parte, visto che amava così tanto i proprio figli da non riuscire a rimproverarli o a suonargliele di santa ragione, come più volte aveva affermato di voler fare.
In inverno creavano i pupazzi di neve, ricordava ancora che una volta ne avevano fatto uno uguale all’odioso insegnante di matematica, e lanciavano le palle di neve.
Bei tempi erano stati quelli, ma l’età adulta aveva cancellato tutta la felicità e spensieratezza del passato, provocando solo sofferenza e dolore.
Da lì la sua vita era precipitata verso la distruzione. Meno male che c’era Julia che riusciva ad allietare le sue pene e a colorargli la giornata.
Ma adesso vivevano continuamente immerso nel nero dell’infelicità.
Un rumore. Nello scrosciare della notte. Alessandro percepì un rumore impercettibile per le orecchie normali. Delle normali orecchie umane non sarebbero mai riuscito a sentirlo, ma lui aveva a disposizione anni di allenamento nelle accademie dell’Altro Mondo, era stato uno dei pochi prescelti per proteggere i due mondi dal male.
Alessandro captò una presenza. Una presenza non umana.
Poteva essere solo un demone, a quanto ne sapeva, le creature dell’Altro Mondo non amano mostrarsi agli umani… a parte i demoni e poche altre creature della notte.
Prese rapidamente una decisione: sarebbe andato a vedere di cosa si trattasse, in fondo non aveva niente da perdere, no?!
Cominciò a correre verso la direzione in cui avvertiva la presenza.
Mentre correva, gli parve che il tempo fosse accelerato: non sembrava più pomeriggio inoltrato, ma notte. Intorno a lui tutto era scuro, non si intravedeva neanche una luce proveniente dalla strada, dalle abitazioni o dai negozi vicino al parco.
Sì, stava succedendo qualcosa.
Alessandro aguzzò la vista e strinse le palpebre, evocando la vista dei cacciatori che gli avrebbe permesso di vedere più chiaramente al buio.
Stava arrivando, adesso sentiva più vicina la presenza ma non riusciva a capire di cosa si trattasse.
Il ragazzo saltò oltre dei pini sradicati che occupavano il viale, poi sbuco in una specie di radura, circondata da alberi e arbusti, che aveva tutta l’aria di essere parecchio abbandonata e degradata. Tronchi sradicati e foglie erano sparpagliati ovunque, insieme ad alcune carcasse di animali immobili.
Al centro, immobile, stava un uomo completamente ammantato da un mantello grigio-nero striato con delle strisce di una tonalità di grigio più chiaro.
Il cappuccio gli ricadeva sulla spalle, lasciando libero il capo dai lunghi capelli grigi che non gli davano un’aria da vecchio ma ancora più giovane di quando fosse e gli arrivavano alle spalle ordinati e composti.
Il viso, dai lineamenti forti e decisi, lasciava trasparire una certa delicatezza e gli occhi brillavano di un azzurro che aveva diverse sfumature: dal grigio blu al blu oltremare, al grigio fumo.
Accanto ad egli vi era un giovane cavallo bianco che brucava come se ci fosse dell’erba squisita e fresca.
-Ti stavo aspettando, Alessandro Talluri- l’uomo parlò, facendosi avanti verso il ragazzo che, incredulo, lo fissava con gli occhi sgranati.
-Chi s-sei?-
-Pensaci bene, sono sicuro che capirai chi sono da solo, senza bisogno che te lo dica.
L’uomo sorrise leggermente.
Alessandro rifletté per un attimo. Quell’uomo sapeva chi fosse lui e probabilmente era a conoscenza di tutto quella che era successo.
Però… il modo in cui vestiva, e il cavallo bianco gli ricordavano qualcosa… delle leggende, qualcosa studiato in accademia.
NO! Non poteva essere…
-Tu… tu sei la morte- sussurrò scuotendo la testa.
-Indovinato- la morte fece schioccare le dita e con una mano sfiorò la spalla di Alessandro. – Sei sorpreso? O spaventato? Dimmi, non eri tu quello che, dilaniato dal dolore, desiderava solo la morte?-
-Sì…io…-
-Bene. Ho deciso di venire a farti visita e vedere cosa si potesse fare- la Morte girò intorno ad Alessandro, sorridendo. Un sorriso che non lasciava intendere il proprio significato, enigmatico come l’uomo che lo stava esprimendo.
-Eh sì! Ho deciso di accontentarti. Vuoi morire? E allora morirai- l’uomo fissò il ragazzo negli occhi ed egli si perse nel profondo di quel cielo, mare,neve e fumo racchiuso in quegli splendidi occhi stretti e ipnotici.
Non riuscì più a pensare lucidamente né ad aprire bocca e proferire parola.
Era in estasi, ammaliato dall’uomo che aveva davanti e che era venuto ad offrirgli la pace eterna.
-… Ma scoprirai che forse non è quello che vuoi, che la morte non è solo “pace e insensibilità al dolore”- finì la Morte.
All’improvviso alzò la testa al cielo, nel quale si intravedevano attraverso la pioggia le stelle, e cominciò a cantare una melodia sognante e leggera. La sua voce aveva un timbro eccezionale, la melodia soave si diffuse in tutto lo spazio circostante, salendo fino al cielo.
Accanto al cavallo bianco apparve un buco che si andò via via allargando, formando un vortice di mille colori, come l’arcobaleno, in cui però prevaleva il verde, senza fondo. La pioggia continuava a cadere lenta e angosciante mentre il vento soffiava forte e impetuoso.
La morte afferrò Alessandro per un braccio e, alzandolo in aria come se fosse di pezza, lo scagliò nel vortice.
Appena il ragazzo fu dentro il turbine, esso si restrinse fino a sparire senza lasciare traccia. La morte fissò per l’ultima volta il punto in cui aveva scagliato il ragazzo e poi montò e a cavallo e, accarezzando la possente bestia, sparì con un soffio d’aria.

Alessandro non vedeva né sentiva nulla. Sballottato al centro del vortice, teneva gli occhi chiusi, incapaci di aprirli. Un dolore straziante gli si propagava dal cuore lungo tutta la spina dorsale, fino alle gambe impedendogli di respirare.
Poi, all’improvviso il dolore cessò e Alessandro svenne.
Fu il nulla, buio totale.
:oops: :oops: :oops:

Non so se si è capito ma il capitolo l'ho scritto interamente ascoltando Enter, Mother Earth e Ice Queen dei Within Temptation ♥ * comincia a cantare enter facendo i gargarizzi della Den Adel u.u*
Incontrami di nuovo dopo l'oscurità e ti tratterrò
Se solo la notte potesse tenerti dove io posso vederti, amore mio
Allora non lasciarmi svegliare mai più
E forse stanotte
Correremo così lontano
Che ci saremo persi prima dell'alba
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