la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

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la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi demon black » 14/02/2010, 22:25

Be'Sihl Ahvn-Qa in realtà è il nome del proprietario della umile locanda o come dice Midda, l'umile proprietario dlla Locanda :lol: :lol: :lol:

La locanda è molto bella e il suo proprietario molto ospitale nei confronti di Midda, dopo che lei lo ha aiutato con della gentaglia, tant'è vero che le ha riservato la stanza più bella, comoda e grande della locanda ;)
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Re: la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi SeanMacMalcom » 06/06/2010, 13:17

Uh... oh...
Scopro solo ora questa sorpresa!!! :shock: :oops: :shock: :oops:

A tanto onore non posso che rispondere con la pubblicazione di alcuni estratti dai libri cartacei, attorno a tale realtà! :ugeek:

La locanda è collocata nella città di Kriarya, capitale dell'omonima provincia del regno di Kofreya.
Tale città, vessata dalla piaga della guerra fra Kofreya e il vicino regno di Y'Shalf, da lungo tempo non è considerabile quale un posto tranquillo: rinominata, infatti quale città del peccato, vede al proprio interno una popolazione prevalentemente costituita da mercenari e assassini, ladri e prostitute, ritrovando il feudalesimo applicato solo a livello meramente formale e lasciando, altresì, l'intera città nelle mani della criminalità organizzata e dei signori della medesima, che si spartiscono il territorio come un dominio personale, lì regnando indisturbati.

Sin da "La città del peccato" ("Midda's Chronicles - Il tempio nella palude (e altre storie)" © Sean MacMalcom 2008 :geek: ) la locanda viene presentata come sita nel versante occidentale della capitale:
Midda e Camne, giungendo da sud-est avrebbero avuto l’imbarazzo della scelta in due diverse e comode alternative, ma la donna guerriero aveva preferito allungare il cammino e penetrare nella città dall’ingresso occidentale, più vicino alla locanda in cui era solita alloggiare.


Nello stesso racconto, viene presentata l'architettura della locanda:
L’edificio della locanda non era ovviamente una torre: né Be’Sihl né qualsiasi altro locandiere in quella città, al di là del patrimonio personale, avrebbe potuto permettersi tale uso per un edificio tanto costoso. Costituito su una larga pianta rettangolare, esso si offriva su un totale di due piani al di sopra del livello base, ornati dalle tipiche finestre bifore e trifore kofreyote ma del tutto privi di balconate: in Kriarya non sarebbe stato ipotizzabile, neanche nelle cime più alte delle torri, il ricorso architettonico a simili ornamenti che avrebbero presentato semplice possibilità di ingresso per ogni genere di pericoli. Il tetto sopra l’edificio, poi, si delineava con una sagoma appena inclinata: il clima della zona, pur non godendo della costante placidità della penisola tranitha lì confinante, riusciva comunque a mantenere un certo grado di mitezza che non richiedeva una conformazione particolarmente inclinata nelle superfici superiori delle costruzioni, al contrario di altre città.


... nonché l'alloggio della mercenaria:
Il suo alloggio, che per qualche giorno avrebbe dovuto dividere con la fanciulla, contava addirittura due spazi, risultando così il più vasto e il migliore dell’intera locanda: un favore personale che le era stato accordato dal proprietario della medesima, a seguito di un regolamento di conti con una banda di tagliagole che aveva offerto fastidi fino al giorno dell’arrivo della donna. Dall’ingresso si accedeva direttamente alla stanza principale, larga circa cento piedi quadrati, collegata poi attraverso un’altra soglia priva di porta a un locale minore, di dimensioni praticamente dimezzate.
La prima area era stata adibita a dormitorio, ospitando al proprio interno una scelta frugale ma completa di mobilio. Un ampio ma spartano letto era posto ad angolo fra la parete della porta d’ingresso e quella della soglia interna, vedendo la posizione dei cuscini rivolta proprio verso il lato più riparato. Una cassapanca in legno con spigoli in metallo appariva ai piedi del letto, accanto alla medesima soglia, chiusa da un pesante lucchetto metallico di cui solo l’inquilina aveva la chiave. Un armadio in legno massiccio, poi, era posto sul lato opposto a quello della soglia interna risultando tanto largo da poter ospitare al suo interno due uomini adulti senza problemi. Infine, in opposizione al guardaroba, era addirittura una sedia in legno e uno scrittoio, con tanto di pergamena, calamaio e penne già pronte per l’utilizzo sulla propria superficie e due cassettini sotto il piano di scrittura.
La presenza di quel tavolino, che per la maggior parte degli inquilini di quella locanda sarebbe stata inutile nell’ignoranza dell’arte della scrittura, era il reale segno di distinzione e di lusso di quell’alloggio rispetto a tutti gli altri. Pergamene e inchiostri erano beni di grande valore, normalmente di proprietà solo di grandi signori benestanti o nobili: trovarli, pertanto, nella camera di una mercenaria appariva spiazzante più di quanto sarebbe stata fuorviante una prostituta in un tempio. Sulla parete opposta al letto, fra l’armadio e lo scrittoio, era poi una finestra bifora, dalle forme ovviamente angolate nello stile kofreyota e dalle ante in legno richiuse, attraverso le quali solo una leggera luce riusciva a filtrare.
La seconda stanza, di dimensioni ridotte, era stata invece adibita a sala da bagno, secondo precise disposizioni della donna guerriero stessa. Al suo interno, un largo catino in legno, con la funzione di vasca, riempiva quasi l’intero spazio, ponendosi sul lato dell’accesso a tale ambiente, accanto al quale poi una latrina in coccio si disponeva sotto a una sottile finestra, in opposizione a uno stretto e alto mobile di legno sulla cima del quale era il lavabo. Questo ultimo, in ceramica, presentava un sapone grezzo e privo di qualsiasi odore, una brocca per l’acqua e un panno adibito ad asciugamano.
Per quanto spartano potesse apparire, lo spazio privato offerto dal bagno era, insieme allo scrittoio dell’altra stanza, una ricchezza che faceva apparire quell’alloggio degno di un potente signore di nobili origini: probabilmente, in effetti, prima dell’arrivo di Midda simili stanze erano state concepite a tali scopi, tenute con cura dal proprietario per eventuali facoltosi o importanti ospiti. Ma da quando ella era giunta in città, da quando aveva scelto di soggiornare in quella locanda, quelle camere erano diventate la sua casa, che neanche il proprietario avrebbe violato fino a quando non fosse stata ella stessa a decidere di allontanarsi definitivamente da lì: nessuna pressione le era mai stata offerta in tal senso e, anzi, la sua presenza era riuscita a riportare una certa serenità all’interno dell’edificio, tranquillità di cui il padrone non poteva che esserle grato.


Proprietario della locanda è Be'Sihl Ahvn-Qa, così descritto:
«Chi va là?» domandò ad alta voce la mercenaria, con la mano sinistra sull’elsa della spada.
«Be’Sihl.» rispose una voce maschile da oltre la porta, con tono leggermente squillante.

Al nome del locandiere, Midda rilassò i muscoli e i nervi, dirigendosi tranquilla verso l’ingresso dell’alloggio per aprirlo e permettere al medesimo e ai suoi aiutati di entrare, allo scopo di portare l’acqua calda come da lei richiesto.
Oltre la porta, leggermente rosso in viso per lo sforzo nel reggere due grandi secchi straripanti d’acqua, era un uomo assolutamente medio: statura media, poco superiore ai cinque piedi e mezzo, corporatura media, probabilmente non oltre le centocinquanta libbre, età media, sopra i trenta e sotto i quaranta. Ben lontano dall’essere medio, invece, era il suo aspetto, che lo caratterizzava in maniera pressoché unica all’interno della città. I lunghi capelli neri che coprivano il suo capo, composti in una miriade di piccole trecce secondo lo stile di alcuni regni del deserto, e la pelle scura, decisamente più che una semplice abbronzatura, indicavano chiaramente l’etnia shar’tiagha dell’uomo. Il volto, però, non ricalcava completamente i tratti tipici della zona e, anzi, se ne scostava parecchio: il mento non si tendeva appuntito, gli zigomi non si offrivano alti come nella maggior parte dei shar’tiaghi e, anzi, sopra il profilo leggermente tondeggiante del viso, labbra carnose e un naso tondo appena schiacciato si presentavano assieme a due splendenti occhi castano chiaro, tendenti quasi a tonalità di arancione in una forma leggermente obliqua.
Un insieme di caratteristiche abbastanza variegate che lasciavano quindi facilmente pensare a un retaggio familiare vasto e intrecciato, probabilmente frutto di molteplici matrimoni misti che, come sempre, finivano per concedere a un individuo singolo una moltitudine di pregi di varie popolazioni, creando sempre persone uniche e irripetibili.

«Vieni pure…» invitò la donna, accennando un sorriso cordiale e tenendo la porta aperta all’uomo e ai due garzoni che lo aiutavano con i secchi.
«Calda ma non troppo, come piace a te.» commentò egli, facendosi strada nelle stanze diretto alla vasca in legno.

Sotto i capelli intrecciati dell’uomo potevano distinguersi due orecchini d’oro di forma circolare, uno per ogni lato del viso, mentre sopra una larga camicia bianca, a tratti penzolante in maniera disordinata fuori dai pantaloni rosso-violacei, si mostrava lucente un bracciale altrettanto dorato: tale ornamento, richiamando in maniera inequivocabile le decorazioni della terra d’origine dell’uomo, era il maggior vanto del locandiere, un’eredità familiare che indossava in ogni momento del giorno e della notte con orgoglio e senza mai timori, tanto che più volte aveva anche ricavato qualche rogna da simile imprudenza. Suggerire a Be’Sihl maggiore discrezione, minore ostentazione di un simile gioiello, comunque, era stato da sempre fuori discussione: l’uomo, infatti, si poneva troppo fiero di quell’ornamento, troppo legato a esso per pensare di riporlo lontano dal proprio sguardo e dal proprio corpo. Una vera questione di principio, per lui, al pari del diritto a non indossare scarpe senza per questo essere giudicato come selvaggio o al pari del diritto a possedere una locanda senza dover sottostare obbligatoriamente all’influenza di un criminale locale: diritti che solo un carattere forte, come a tutti gli effetti era il suo, avrebbe potuto essere in grado di pretendere e difendere.


Il rapporto fra il proprietario della locanda e Midda Bontor viene presentato, sin da subito, come estremamente ambiguo, diviso fra una sincera amicizia e qualcosa di molto più, per quanto da ambedue inespresso. Forte della consapevolezza di tale legame, e della pazienza del buon Be'Sihl di fronte a ogni proprio disastro, immancabile per la donna guerriero è la ricerca continua di risse all'interno della locanda, per animare le serate della medesima e rendere, in un certo modo, il giusto tributo di violenza alla città del peccato.
A seguire un estratto - no spoiler - da "La corona perduta" ("Midda's Chronicles - Condannata (e altre storie)" ovvimente © Sean MacMalcom 2008 :geek: ):
«Spero che i tuoi colleghi potranno ritenersi soddisfatti della compagnia che ho fornito loro per questa notte.» aggiunse poi il locandiere «Del resto non conoscendo i loro gusti…»
«Oh… non ti preoccupare.» rispose la donna, scuotendo il capo e, con esso, i propri capelli corvini «Sono certa che nessuno di loro avrà di che lamentarsi. Io però potrei avere delle rimostranze a tal riguardo…» aggiunse poi, con una nota di malizia nella voce.
«Tu?!» aggrottò la fronte l’uomo, osservandola «Ma se hai dormito da sola…»
«Appunto.» lo punzecchiò, scherzando come erano soliti fare da sempre «Non ti vergogni di avermi lasciata sola e ignuda come una vergine innocente offerta sull’altare di un culto malvagio?»

Sebbene il loro rapporto non avesse mai superato i limiti dell’amicizia, almeno in passato, quel genere di battute non erano mai mancate e, probabilmente, mai sarebbero mancate. Il loro era un malizioso gioco di complicità, condotto fra due persone adulte e mature che se avessero deciso di spingersi oltre, di certo non avrebbero trovato ostacoli nel farlo, ma che, forse, temevano di poter rovinare qualcosa fra loro nel compiere una simile scelta.

«Vada per “sola” e “ignuda”… ma “vergine” e “innocente”?» insistette egli, inarcando un sopraciglio oltre a continuare a presentare la fronte già aggrottata.
«Tsk… uomini…» si finse offesa ella, distogliendo lo sguardo e levando il capo verso l’alto «I soliti sputasentenze: solo perché una fanciulla si ritrova portatrice di un prosperoso seno subito siete pronti a additarla…» commentò poi, stringendo le spalle per spingere in tal gesto i propri seni in avanti, quasi a volerli mostrare ancor più floridi di quanto già non fossero «… ma io so che, in realtà, i giudizi che nessuno di voi è abbastanza sincero da ammettere sono ben diversi!»

Forse il timore di veder distrutto il loro rapporto era, in effetti, più in Midda che nel suo interlocutore: dovendo essere sincera con se stessa, ella non avrebbe potuto considerarsi quale il prototipo della perfetta compagna, dove per quanto i propri sentimenti potessero essere intensi e puri quando rivolti a un proprio amante, qualcosa irrimediabilmente la spingeva poi ad allontanarsi da lui, a porre distanza fra loro, scomparendo senza apparenti remore per anni se non addirittura decenni. Ed, egoisticamente, ella non voleva rischiare di dover rinunciare alla presenza di Be’Sihl nella propria vita per così tanto tempo o, peggio, di non potersi più sentire serena in Kriarya come, effettivamente, riusciva a essere. Era troppo affezionata a quella locanda, alla sua camera, al suo locandiere, per rischiare di mandare tutto all’aria in conseguenza del proprio pessimo carattere nelle vicende sentimentali.

«Ti diverti a giocare con il fuoco, vero?» riprese l’uomo, asciugandosi le mani su uno strofinaccio e piegandosi verso di lei sul bancone, a ridurre la distanza fra loro.
«Se il tuo secondo nome è “fuoco”… sì.» sorrise la donna, tornando a guardarlo sorniona «Pensa che avevo anche lasciato la porta aperta per te…» sospirò con tanta enfasi da apparire quasi grottesca «Ma si vede che ormai le mie grazie, non più adolescenziali, non riescono ad attirare l’interesse maschile…»
«Ahh… comprendo.» commentò egli, annuendo con partecipe aria grave «Vuoi che mandi a chiamare i sei che hai steso ieri sera, per sapere la loro opinione a tal riguardo?» aggiunse poi, riferendosi ai membri di un gruppetto che, avendo esagerato con il vino, avevano poi trovato il coraggio e l’incoscienza di offrirsi in modo un po’ troppo insistente nei riguardi della donna, pagandone poi le dovute conseguenze «Per la cronaca a due di loro hai anche spezzato i gomiti.»
«Io ti parlo di uomini e tu mi rispondi con il ricordo di un gruppo di mocciosi?»
«Duecentosessanta libbre cadauno, quei “mocciosi”…» ridacchiò il locandiere.
«Sempre di mocciosi si tratta.» sbuffò la mercenaria «Non era di certo per loro che ho lasciato aperta la porta…»
«Stai forse cercando di sedurmi, Midda Bontor?» domandò egli, spingendosi maggiormente verso di lei, verso gli occhi azzurro ghiaccio in cui avrebbe sicuramente amato perdersi per sempre.
«La vera domanda è un’altra…» sussurrò ella, osservandolo con intensità e avvicinandosi a sua volta all’interlocutore «… ci sto riuscendo, Be’Sihl Ahvn-Qa?»


E questo è quanto! :mrgreen:
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Re: la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi demon black » 06/06/2010, 14:49

Grazie Mac!!!! :ugeek:
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Re: la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi SeanMacMalcom » 06/06/2010, 15:02

demon black ha scritto:Grazie Mac!!!! :ugeek:


Grazie a te!!!!! :oops: :oops: :oops: :oops:
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Re: la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi demon black » 06/06/2010, 15:06

SeanMacMalcom ha scritto:
demon black ha scritto:Grazie Mac!!!! :ugeek:


Grazie a te!!!!! :oops: :oops: :oops: :oops:



...non preoccuparti...non l'ho fatto per te :twisted: :lol: :twisted: :lol: :twisted:

...ma per il mio Be'Sihl :ugeek:
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Re: la Locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa da Midda's Chronicles

Messaggiodi gio » 06/06/2010, 18:18

La collezione ringrazia :ugeek:
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