Un cartello rotondo fissato a un asse metallico pendeva sulla soglia dell'ingresso. Raffigurava un enorme boccale di birra che invece di traboccare birra aveva l'orlo coronato di dadi. Dal boccale fuoriuscivano a ventaglio quattro carte che portavano disegnati simboli diversi. L'insegna di legno era dipinta con colori vividi, con ogni probabilità era stata ritoccata di recente.
(...) l'edificio pareva permeato di una strana idea di orgogliosa dignità rispetto a quelli limitrofi, come a voler sottolineare la propria estraneità allo squallore circostante.
(...) il taverniere che faceva la spola dal bancone dove riempiva di birra i boccali, spillandola da una fila di botti di legno, ai tavoli e a quella che, riflettè, doveva essere la cucina.
(...) La taverna si era parzialmente svuotata, eppure l'uomo non sembrava darsi pace e, quando non aveva clienti da servire, utilizzava un vecchio straccio per pulire i tavoli o una ramazza per spazzare gli angoli deserti della sala.
(da la Trilogia di Lothar Basler. La lama del dolore, di Marco Davide)